LA TAVOLA DI SAN GIUSEPPE

Un meraviglioso viaggio tra antiche tradizioni, emozioni e suggestioni, tra festa e devozione.

La ritualizzazione della Tavola di San Giuseppe ha origini antichissime che affondano le radici in pratiche culturali pre-cristiane legate ad una visione del mondo in un arcaico complesso rito delle civiltà agrarie che accompagnava la fine dell’anno agricolo e l’inizio della rinascita della natura, salutata con feste, offerte di cibo, preparazione di pasti sacri in cui si cercava di propiziare l’abbondanza con l’intercessione del Santo per assicurarsene la benevolenza.  San Giuseppe, venerato come il Patrono della Chiesa Universale, è il protettore della famiglia, degli artigiani, dei poveri e, nella cultura popolare, in special modo in quella contadina, il buon Santo della Provvidenza. Il Santo che provvede a scongiurare la cattiva stagione, ad allontanare la carestia garantendo copiosi raccolti. Altre ipotesi fanno risalire questa tradizione ad una pratica medievale allorché il "signore" del paese offriva da mangiare una volta all’anno a tutti i poveri imbandendo grandi tavole nelle piazze. In riferimento a quella consuetudine, nei nostri paesi, alcune famiglie preparano grandi quantità di "massa" da distribuire ai vicini, ai conoscenti e anche ai poveri. Vi rinviene anche un’affinità con le pratiche albanesi, si racconta infatti che la "tavolata" sia stata introdotta da profughi albanesi rifugiatisi in Puglia nei secoli scorsi in seguito alla pressione dei Turchi. In alcuni paesi dell’Albania salentina esisteva fino a poco tempo fa l’usanza di preparare, la sera del 18 marzo, delle tavole imbandite con numerose varietà di cibi: le "tavolate".

Secondo una leggenda, si tramanda che San Giuseppe fosse morto la notte del 18 marzo, per cui si associa il banchetto del 19 al “consulu" che parenti ed amici offrivano ai familiari più stretti del morto nei primi tre giorni di lutto. Pertanto tale banchetto potrebbe rappresentare il consulu offerto a Maria dopo la morte di Gesù, perché la comunità dei viventi mostra alla Madonna e ai suoi parenti la propria solidarietà che deve tornare alla famiglia offerente sotto forma di grazia.

Il “Banchetto Sacro” nasce originariamente come voto di ringraziamento per una grazia implorata o ricevuta da parte di una persona che si è impegnata verso San Giuseppe con una promessa; si adempie un voto fatto con fede e si segue la tradizione che ha, da sempre, un cerimoniale fatto di gesti rituali, preghiere, canti, legato ad una simbologia assai complessa. L’abbondanza alimentare con l’offerta di cibo trasforma il pasto sacro in una specie di propiziazione ed esorcismo contro la carestia, la fame, la morte.

Le Tavole di San Giuseppe si ripetono ogni anno nell’area otrantina, in particolare nei comuni di Giurdignano, Uggiano la Chiesa e Minervino di Lecce. Fonti orali, raccolte da studiosi, testimoniano che nei nostri comuni tale devozione era già presente tra la fine del ‘700 e gli inizi dell’800. Il rito venne solennizzato nel 1870 da Papa Pio IX, nella data del 19 marzo.

IL PRANZO CERIMONIALE

il rituale delle tavole ancora oggi vivo più che mai, comincia all’inizio del mese dove in molte famiglie si prepara la "massa" e il pane. Qualche giorno prima, tutta la famiglia del devoto, spesso anche il vicinato, è impegnato nella preparazione delle tavolate. Queste vengono imbandite nella stanza più ampia della casa e si presta tutta l’attenzione possibile per la buona riuscita delle pietanze, perché al Santo si deve dare il meglio. Chi decideva di allestire il banchetto, specie in passato in situazioni di ristrettezza economica, cominciava ad accantonare nel corso dell’anno i prodotti migliori e spesso parenti e amici si prodigavano a dare il loro contributo alla devota che allestiva la tavola in onore del Santo.

Secondo la tradizione su questa mensa ospitale vengono allineati dei grossi pani a forma di ciambella del peso di circa 5-7 chili ciascuno, contrassegnati dal simbolo del Santo di appartenenza con in mezzo un’arancia e un piccolo pane denominato "pace": quest’ultimo viene spezzato, condiviso e mangiato durante il pranzo cerimoniale, mentre il pane grande viene consumato successivamente a casa della famiglia del Santo e in passato garantiva di avere pane per una settimana.

Il pranzo cerimoniale, che rappresenta un vero e proprio trionfo del cibo, inizia con la consumazione dei "pampasciuni" (lampascioni) la prima pietanza con cui inizia il banchetto. A seguire, nell’ordine, "foje ndilissate" (verdure lesse, rape), "massa" (pasta, una sorta di minestra non troppo brodosa), "pasta cu lu mele" (pasta con il miele), "ciciri alla pignata" (ceci cotti nella pentola di creta), "stoccapisce cu li spunzali" (stoccapesce con lo scalogno), "pisce frittu" (pesce fritto), "pittule" (pettole), "fritti cu lu mele" (dolci tipici ricoperti di miele), "finucchiu crudu e marangiu" (finocchio crudo e arancia). Tali pietanze, insieme a pane, olio e vino, formano i tredici piatti voluti dalla tradizione che sono disposti scrupolosamente sulla tavola secondo l’ordine in cui saranno serviti.

Tutte le pietanze hanno un significato simbolico e rituale: il numero tredici è a ricordo dell’ultima cena con gli apostoli e Gesù. Anche la disposizione dei piatti non è casuale: il pesce fritto è posizionato con la testa in direzione della porta di uscita, così pure i finocchi hanno la parte edule rivolta verso l’uscita a significare che tutto il cibo benedetto deve uscire dalla casa di chi lo dona. Poiché la festa di San Giuseppe ricorre in un periodo quaresimale, la tavola viene bandita senza carne o latticini.

I Santi partecipanti alla tavola, sempre in numero dispari, possono essere da un minimo di tre Santi, la Sacra famiglia (San Giuseppe, la Madonna e Gesù Bambino) fino a un massimo di tredici, richiamandosi al numero degli apostoli dell’ultima cena. I Santi sono scelti tra parenti e amici dei devoti, rispettando il detto "San Giuseppe ole i soi soi" (San Giuseppe vuole i suoi, cioè parenti e amici di Gesù), per cui alla Sacra Famiglia si uniscono i genitori della Madonna, Sant’Anna e San Gioacchino; Santa Elisabetta, sua cugina con suo marito San Zaccaria; San Giovanni Battista, cugino di Gesù e figlio di Elisabetta e Zaccaria; San Lazzaro e Santa Marta, gli amici più stretti di Gesù; Santa Maria Cleofa e Santa Veronica, le pie donne; e San Giuseppe D’Arimatea. Oltre a questi, talvolta si trovano altri nomi di santi scelti tra gli Apostoli, come San Filippo, San Giacomo o altri ancora come Santa Agnese, Sant’Antonio, verso i quali la famiglia manifestava una particolare devozione. L’uomo più anziano di solito impersona San Giuseppe, un ragazzino quello di Gesù Bambino e una fanciulla non sposata ricopre il ruolo della Madonna. L’invito a impersonare un santo non si rifiuta mai, perché non accettandolo si reca un’offesa al Santo e sarebbe causa di sventure su se stessi e sulla propria famiglia. In passato l’invito serviva anche a ricucire rapporti e appianare dissapori tra le famiglie: esso si trasformava in un momento di riconciliazione.

Sulla tavola imbandita, il posto di San Giuseppe è ben visibile perché contrassegnato da una verga fiorita. San Giuseppe ricopre quindi il ruolo principale, è lui che dà il via al banchetto battendo con il bastone fiorito sul pavimento. Col battito della verga si inizia l’assaggio della prima pietanza; dopo un breve assaggio di ogni singola portata, San Giuseppe "tuzza cu la furcina", cioè battendo con i rebbi della forchetta sul piatto indica che a nessuno dei commensali è più concesso di continuare l’assaggio. Ultimato il pranzo, si prende uno alla volta il pane benedetto e dopo averlo baciato lo si porge a San Giuseppe che, baciandolo a sua volta, lo consegna a ogni singolo Santo. Alla fine del banchetto, tutti i cibi vengono sistemati in grandi ceste e offerti ai santi commensali: in casa non deve rimanere traccia del cibo rituale. Nel ricevere la cesta con le vivande non si deve ringraziare, ma si usa dire "San Giuseppe cu te esaudisca", ovvero che San Giuseppe esaudisca i tuoi desideri, in riferimento alla motivazione per la quale la devota allestisce la tavola.

I SIMBOLI DELLA TAVOLA

Il Pane rotondo rappresenta l’ostia consacrata. Il Pane destinato ai vari santi della tavola ha varie simbologie: quello di San Giuseppe è caratterizzato da un giglio, simbolo di purezza, quello della Madonna da una Corona del Rosario; per Gesù Bambino sono rappresentati tre minuscoli panini che rappresentano la Santissima Trinità. Gli altri simboli riportati sui grossi pani a ciambella sono il bastone di San Giuseppe per i Santi e una palma per le Sante, segno dell’accoglienza di Gesù a Gerusalemme.

L'Olio rappresenta l’alimento divino sin dai tempi di Omero; nell’antico testamento l’olio era simbolo di prosperità, di benedizione divina, di gioia, di fraternità.

Il Vino è il simbolo dell’amore verso Dio, rappresenta il sangue di Cristo sparso sulla terra per redimere l’umanità dal peccato.

L'Arancia nella simbologia antica è simbolo di fertilità, poiché ha molti semi.

Il Finocchio, ortaggio di colore bianco, viene considerato simbolo di purezza, di candore dell’infanzia di Gesù bambino.

L’Alloro che adorna la tavola rappresenta un simbolo agreste, con valenza propiziatrice, è l’emblema della vittoria, simbolo della gloria di San Giuseppe.

I Fiori che adornano la tavola annunciano l’arrivo della primavera e con i lori profumi ricordano le virtù di San Giuseppe.

Le Tovaglie bianche utilizzate per l’allestimento della tavola indicano la purezza.

I Lumini accesi rappresentano la fede della divina Provvidenza.

FESTEGGIAMENTI

A Minervino di Lecce i festeggiamenti in onore di San Giuseppe hanno luogo ogni anno il 18 e 19 marzo.

Dalla sera del 18 marzo fino al mezzogiorno del 19 marzo si possono visitare tutte le tavole che i devoti hanno preparato: a tutti i visitatori verrà donato un piccolo panetto detto anche "pace", affinché il Santo esaudisca la preghiera del devoto. Nel momento della consegna della "pace", il visitatore dirà "San Giuseppe te l’aggia an’settu" che vuol dire "San Giuseppe ti esaudisca".

Terminata la processione e dopo la Santa Messa del 19 marzo, si svolge la pubblica Tavola di San Giuseppe organizzata dalla Pro Loco "Minerva", rivisitazione più moderna del rito che permette di assaggiare e conoscere i sapori locali e quelli dei Comuni delle varie regioni d'Italia che decidono di partecipare all’evento. Verranno distribuite alcune pietanze che compongono i 13 piatti della Tavola, ovvero "massa", "pampasciuni" e "pittule".